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L’annuncio della Fed di alcune settimane fa, inerente alla possibilità di aumentare i tassi d’interesse, all’indomani della pubblicazione dei dati sul livello d’occupazione da parte del Labour Department degli Stati Uniti, è stato assunto dai mercati, e in generale dal sistema economico, come un segnale del fatto che l’economia statunitense si sia finalmente ristabilita.
Il costo del denaro può dunque tornare a marcare livelli normali, aiutando a contenere l’inflazione.
Durante gli ultimi sette anni la Fed ha sempre tenuto i tassi d’interesse a livelli prossimi allo zero, questo perché il ruolo principale di questa istituzione è sempre stato quello di massimizzare il tasso di occupazione del paese, e incentivarne l’economia. Trovandosi a dover fronteggiare la più grande recessione dalla Seconda Guerra Mondiale, con una perdita stimata di 765.000 posti di lavoro, si può dire che la scelta adottata dalla banca centrale americana sia stata pressoché obbligata.
Portando i tassi d’interesse a livelli minimi, la Fed ha di fatto guidato l’economia statunitense fuori dalla crisi.
Questo è facilmente spiegabile se si pensa che i tassi d’interesse sono regolati dalle banche centrali attraverso l’acquisto e la vendita di titoli del tesoro a breve termine, soprattutto per le transazioni con le banche commerciali.
La Fed ha utilizzato questo, oltre ad altri metodi, per sostenere l’economia negli ultimi anni.
In particolare ha praticato l’acquisto di titoli ipotecari e altri prestiti obbligazionari per contribuire a ridurre i tassi nel lungo periodo. La strategia, nota come Quantitative Easing, ha incoraggiato prestiti e mutui, generando un boom nel mercato finanziario, e contribuendo a un’espansione economica sostenuta.
I dati sui livelli occupazionali rilasciati a Novembre dal Labour Department, mostrano chiaramente come il tasso di disoccupazione ha toccato il 5%, ciò che molti economisti considerano come un livello di piena occupazione. La fiducia nell’aumento del tasso occupazionale ha sostituito la paura generale di un possibile crollo dell’economia dovuto al rallentamento delle potenze asiatiche. Di fatto, temi quali il rallentamento dell’economia cinese, la svalutazione del renminbi, la sovrapproduzione di crudo e il conseguente crollo del suo prezzo, oltre che la caduta delle borse mondiali la scorsa estate, sono stati dei temi che hanno fortemente influenzato la decisione della Fed.
Ma ormai i dati sono evidenti e non più ignorabili: la spesa delle famiglie e gli investimenti sono aumentati a ritmi sostenuti negli ultimi mesi, e il settore immobiliare è migliorato ulteriormente; tuttavia, le esportazioni nette sono in stallo. Gli indicatori del mercato del lavoro, dimostrano che il sottoutilizzo della manodopera è diminuito dall’inizio di quest’anno.
Come sempre la storia ci insegna, e sembra dunque leggittimo considerare nel quadro d’insieme le precedenti esperienze statunitensi in merito, quando manovre di questo genere hanno generato una ripresa economica più lenta e incerta, rendendo spesso tremendamente complicato per i lavoratori poter esigere e ottenere salari più elevati.
Ma i mercati sembrano aver già deciso: la Fed alzerà i tassi a fine anno, e di fatto l’impatto che si sta registrando in un mercato come quello del Brent, fortemente legato ai prezzi dei tassi di cambio, è la cronaca di un aumento annunciato.
La caduta dei prezzi del Brent sotto i 45$ al barile delle ultime settimane ne è un chiaro esempio.
Il fatto che il mercato stia scontando già da ora, questo possibile cambiamento lascia presagire che alla data dell’evento l’impatto sulle borse sarà minore, e meno drastico.
Ma vi è un altro importante appuntamento che sta influenzando le decisioni dei mercato azionari, che quasi eclissa la decisione delle Fed, ed è quello della riunione del consiglio della Banca Centrale Europea, fissata per il 3 Dicembre 2015.
Durante questa riunione la BCE dovrebbe aumentare la potenza di fuoco della sua politica monetaria, prolungando il Quantitative Easing intrapreso a inizio anno.
Insomma: a dicembre le strade delle due banche centrali, europea e americana, dovrebbero divergere rendendo più espansiva la prima e più restrittiva la seconda.
Questa aspettativa sta facendo perdere quota all’euro, che ormai viaggia intorno a 1,06 sul dollaro.
Dai movimenti delle ultime settimane si nota come il mercato sia in attesa della decisione di Draghi per due ragioni:
- Perché giunge prima
- Perché potrebbe influenzare la decisione della Fed
La BCE di fatto potrebbe fare 4 cose:
- Abbassare il tasso di depositi bancari in BCE (attualmente a -20%)
- Aumentare l’importo del Quantitative Easing
- Lasciare l’importo del Quantitative Easing invariato ma aumentarne la durata.
- Mixare i 3 interventi sopra citati
Se la BCE farà di più di quanto il mercato si aspetta è verosimile pensare che l’euro si svaluterà ulteriormente, cosa che potrebbe portare la Fed a rinviare di nuovo la stretta sui tassi.
Sembra essere dunque questa la prima volte in cui sarà la Fed a doversi adattarsi alla decisione di un’altra banca centrale e non viceversa.
Maria Mura | Energy Consultant
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