
É ormai noto quanto l’economia russa sia dipendente dal settore degli idrocarburi, a dimostrarlo vi sono molteplici indicatori economici, così profondamente legati ai prezzi del petrolio. Com’é ovvio, il calo del prezzo del greggio alla fine del 2014 ha avuto conseguenze significative per la Federazione Russa, sia sotto il profilo economico che su quello politico. Ció che é interessante notare é che, nonostante i due anni di recessione causata dal calo dei prezzi del crudo, l’industria petrolifera russa si sia rivelata notevolmente resistente. La produzione di petrolio è cresciuta del 2,2% nel 2016, a livelli raggiunti in precedenza solo alla fine del 1980, in piena epoca sovietica.
La rapida crescita della produzione di petrolio, soprattutto nel corso del secondo semestre del 2016, si potrebbe interpretare come il tentativo russo di massimizzare la produzione (a ritmi impossibili da mantenere a livello annuale) prima di firmare un potenziale accordo con i membri della OPEC, con l’obiettivo di riequilibrare il mercato. Dopo la debacle di Doha, quando, dopo la stesura di quello che sembrava essere un accordo finale, i sauditi hanno deciso, all’ultimo minuto, di sottrarsi all’accordo, la Russia ha compreso quanta poca fiducia si possa riporre nell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, considerato che i suoi membri sembrano incapaci di superare i loro interessi divergenti.
Da allora, notevoli sforzi sono stati fatti per ripristinare le relazioni tra Arabia Saudita e Russia. Il Presidente Putin è stato estremamente assertivo riguardo la possibilità di un accordo sulla stabilizzazione dell’offerta.
Sul piano economico e politico è chiaro il motivo per cui Putin si è dimostrato così favorevole all’accordo: a un anno delle elezioni presidenziali del 2018, un prezzo del petrolio basso inciderebbe negativamente sul deficit di bilancio, che potrebbe tornare ai livelli giá visti nel 2017 e nel 2016. Anche se pochi dubbi aleggiano sulla rielezione di Putin il prossimo marzo 2018, é certo che il presidente russo preferirebbe rinconfermare il suo incarico con alti livelli di consenso e popolarità, piuttosto che un’economia stagnante e un bilancio federale poco roseo.
Se è vero che un prezzo del petrolio superiore ai 50 $ al barile potrebbe fornire un importante aiuto alle entrate di bilancio, le interazioni storiche della Russia con l’OPEC non consentono di riporre grande fiducia sugli accordi di produzione tra le due parti. Le relazioni della Russia con l’OPEC in epoca post-sovietica comprendono una costellazione di accordi e promesse non o solo parzialmente soddisfatte. Prima del 2016, la Russia e l’OPEC cercarono di stipulare accordi di produzione rispettivamente nel 1998 nel 2001 e nel 2009, che si conclusero tutti con scarso successo. Gli accordi di produzione sembrano dunque essere destinati a non rispettarsi: prevedibile se si considera che Russia e Arabia Saudita, sono di fatto feroci concorrenti, che giocano una partita per un mercato enorme: l’asiatico.

Lo scorso dicembre la Federazione Russa ha accettato di ridurre la propria produzione di crudo in 300.000 b / d rispetto ai livelli di ottobre 2016, ma il taglio in sé avrà un impatto molto limitato sulla produzione complessiva 2017 per due principali motivi.
In primo luogo, il taglio verrá effettuato in due fasi, di conseguenza la riduzione di 300.000 barili potrebbe essere raggiunta solo alla fine di aprile 2017. In tal caso, considerato che l’accordo scadrà nel mese di giugno, il taglio completo avrá una durata di 2 mesi.
D’altra parte, la produzione russa è solita essere stabile o in calo nei primi due trimestri dell’anno, a causa delle condizioni climatiche e dei lavori di manutenzione svolti in questo periodo.
In Gennaio, per le basse temperature, le operazioni di estrazione vengono interrotte per proteggere i lavoratori. l lavori di manutenzione, d’altro canto, deveno essere effettuati prima che le temperature aumentino e che il ghiaccio inizi a sciogliersi, cosa che renderebbe troppo difficile fornire servizi nella tundra.
Come risultato, l’impatto complessivo del taglio della produzione giá di per se si vede è ridotto, se si considera che parte dello stesso taglio sarebbe comunque avvenuto per “motivi tecnici”.
L’autentica riduzione (se presente) avverrá durante il secondo trimestre del 2017, quando la Russia dovrà recuperare il ritardo accumulato.
Ció che resta da chiarire é se tutte le compagnie petrolifere russe rispetterenno i limiti imposti alla produzione fino a giugno. Il ministro dell’Energia, Alexander Novak, ha chiarito che i tagli saranno volontari e non saranno aggressivamente monitorati dal governo. Un altro problema evidenziato dal ministro é il fatto che le compagnie petrolifere russe seguono differenti piani di crescita per il 2017, di consguenza risulta illogico chiedere a tutte le società di tagliare la produzione nella stessa percentuale.
Questa è una delle principali differenze tra la Russia ei membri dell’OPEC: nei paesi dell’Organizzazione di solito esiste un unica società petrolifera statale che obbedisce alle indicazioni del governo, in Russia invece le società petrolifere sono diverse, quotate e finanziate da investitori privati.
In conclusione, c’è più spazio per cinismo o ottimismo circa il rispetto degli accordi sul taglio della produzione da parte della Russia?
É probabile che la speranza russa attualmente sia quello di godere di un prezzo del petrolio al di sopra dei 50$ al barile per almeno 2-3 mesi, senza la necessità di impegnarsi troppo rigorosamente nel limitare la produzione interna.
É difficile credere che le compagnie petrolifere russe fermeranno la produzione nel 2017, soprattutto ora che, grazie alla svalutazione del rublo vedono i costi della produzione in caduta libera rispetto agli anni passati, e grazie a un regime fiscale flessibile, che le protegge dalla caduta del prezzo del petrolio, sono in grado di aumentare la loro produzione, arginando il rischio.
I paesi OPEC e i market watchers del settore petrolifero stanno monitorando da vicino i livelli dell’offerta di greggio russo, e continueranno a farlo fino alla fine del semestre, considerato che non vi sono garanzie che la produzione russa e quella dell’Organizzazione si muovano nella stessa direzione.
Maria Mura | Energy Consultant
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