Il considerevole rally dei prezzi del greggio che si è verificato tra la fine di giugno e l’inizio di dicembre non sembra volersi esaurire. Il mercato del petrolio é stato oggetto di forte volatilitá nelle ultime settimane: sorprendentemente il Brent ha superato i 66 dollari al barile.
Gli investitori hanno chiuso posizioni rialziste record tanto in futures come in opzioni sul crudo e posizioni quasi record in derivati del greggio. L’accumulo di tali posizioni rialziste e il limitato numero di posizioni corte oggetto di trading, rischiano di convertirsi in un grave rischio per le quotazioni del crudo.
Finora, l’interruzione del sistema Forties e le tensioni esplose in Medio Oriente sembrano aver scoraggiato le posizioni a corto e hanno contribuito a mantenere i prezzi del petrolio stabili ai loro recenti massimi. Il Medio Oriente è ancora una volta al centro della scena: alla fine del 2017 l’instabilità è stata alimentata dalle polemiche generate dal riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte del governo degli Stati Uniti, mentre l’inizio del 2018 è stato segnato dalle sorprendenti mobilitazioni in Iran. Le manifestazioni contro il regime di Teheran potrebbero aprire nuove lacune nelle alleanze sigillate dai paesi OPEC per estendere i tagli alla produzione nel 2018.
Il «sweet range» dei prezzi del crudo
Negli ultimi mesi, il mercato del petrolio é rimasto in uno stato di quiescienza. I prezzi del petrolio si sono adattati mellifluamente ai cambiamenti che hanno interessanto i fondamentali a partire dalla metà del 2017. La volatilità è stata significativamente inferiore alla media, registrando una tendenza al ribasso.
Nonostante l’OPEC sembri aver ripreso il controllo del mercato negli ultimi mesi, il margine di manovra dell’organizzazione sembra diventare sempre più ridotto. Il contesto in cui era solita operare l’OPEC ormai non é piú lo stesso, in quanto stravolto da cambiamenti radicali. Una delle domande chiave che l’organizzazione ha dovuto affrontare costantemente negli ultimi due anni ha riguardato l’esistenza di un “sweet range” di prezzi del petrolio i cui valori potrebbe mantenere il mercato in equilibrio.
Se il livello attaule di 60-70 $ al barile è stato a lungo considerato l’intervallo perfetto, c’è un fattore che potrebbe cambiare drasticamente questo scenario idilliaco: la produzione petrolifera statunitense.
Le esportazioni statunitensi di petrolio greggio hanno raggiunto il livello record di 1,8 milioni di barili al giorno a ottobre 2017, superando i 2mb / d alla fine del mese, oltre le piú rosee aspettative. Ma quali sono i fattori in grado di influenzare i livelli di export degli Stati Uniti? Esistono limiti di capacità efficaci che possono limitare le esportazioni?
Gli elementi che caratterizzano la produzione di shale americana sono ormai noti:
– il ciclo di investimenti dello shale è relativamente breve;
– i progetti hanno una bassa intensità di capitale: l’investimento di capitale necessario per portare a produzione un nuovo giacimento è minimo rispetto al costo dei pozzi convenzionali;
– i livelli di produzione diminuiscono drasticamente rispetto ai valori iniziali: l’unico modo per aumentare la produzione e compensare l’impatto dei tassi di declino è quello di incrementare costantemente il numero di nuovi pozzi attivi;
– I produttori di scisto statunitensi sono altamente dipendenti dai mercati di capitale finanziario: la tendenza generale all’indebitamento espone fortemente i produttori alle variazioni delle condizioni del mercato del credito.
Queste caratteristiche consentono ai produttori di scisto americano di essere più flessibili e più reattivi ai movimenti dei prezzi. Alcuni descrivono la crescita dell’output statunitense come una produzione di tipo «switch on-switch off». Sebbene questa definizione possa considerarsi piuttosto corretta, tuttavia, è importante sottolineare che sussistono ancora notevoli ritardi tra le variazioni di prezzo e le risposte dell’output. Queste lacune dipendono da diversi fattori quali l’entità delle coperture eseguite dei produttori, la loro capacità di registrare alti livelli di produzione nelle aree a maggiore rendimento, il loro successo nel ridurre i costi di breakeven e la loro capacità di aumentare i livelli di produttività.
Una produzione non proprio elastica…
Il cambio di prezzo osservato negli ultimi due anni ha rivelato alcune importanti informazioni sulla reazione del crudo statunitense ai movimenti di prezzo. A circa $ 50 al barile, la crescita negli Stati Uniti è stata moderata, a parte nei casi in cui si é partiti da una base di prezzo piuttosto bassa (come l’aumento della produzione tra il 2016 e il 2017). Tuttavia, vi è ampia incertezza sulla risposta dello shale se il prezzo dovesse raggiungere la fascia di prezzo tra i $ 60 e i $ 70. Le stime variano tra 700.000 b / g e oltre un milione di b / g per il 2018.
Raggiungere questi volumi dipende da diversi fattori. Innanzitutto, la crescita della produzione statunitense nel 2018 deve essere sufficiente a consentire un’adeguata risposta all’incremento della domanda delle raffinerie e delle esportazioni. In secondo luogo, sará necessario un deficit di approvvigionamento nei bilanci globali per far sí che l’aumento della produzione americana possa colmare questo gap. In terzo luogo, devono esistere infrastrutture sufficienti per consentire alla crescita della produzione di scisto di passare dai pozzi di estrazione agli hub commerciali nazionali e quindi da questi ultimi ai terminali di esportazione. Al momento le prospettive per il 2018 rimangono positive: i volumi delle esportazioni dovrebbero rimanere robusti anche grazie al forte divario tra i prezzi di WTI e Brent, che attualmente toccano i 6-7 $, abbastanza per aprire la finestra di arbitraggio con i membri OPEC.
I produttori di scisto sembrano avere il via libera per incrementare la produzione: i loro livelli di equity sono in ripresa dai minimi di agosto, l’appetito per il debito è sano, il mercato è in backwardation e i prezzi sono più elevati. Sembra chiaro sia ai produttori e agli esportatori statunitensi che il mondo ha bisogno del loro petrolio.
Maria Mura | Energy Consultant
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